Oggi lo sciamanesimo vive e prospera sotto varie forme e pratiche spirituali in tutto il mondo, non solo nei luoghi “più remoti” o divenuti classici come la Siberia, cioè basati sugli standard definiti da Mircea Eliade fin dagli ’50 e poi codificati in Shamanism: Archaic Techniques of Ecstasy (2004) – standard per molti versi superati. È irrealistico limitare la presenza e il ruolo degli sciamani alle società ancestrali e alle tribù pre-moderne, poi sostanzialmente scomparsi con l’insorgere delle grandi religioni organizzate – definendo lo sciamano come uno specialista o intermediario che, tramite stati non ordinari di coscienza, entra in contatto con realtà ultra-terrene e ne ricava indicazioni per offrire servizi o cerimonie mirate alla guarigione, alla ricerca di cibo o di prede, alla divinazione. In tal senso, lo sciamanesimo non ha soltanto caratterizzato l’insorgere di pratiche e credenze spirituali tipiche dell’Homo Sapiens, bensì riecheggia e riemerge ancor’oggi per “l’universalità dei suoi principi e dei bisogni intrinseci a cui risponde”.
Questo il succo di un intrigante volume fresco di stampa (in inglese): , frutto dell’impegno decennale di Manvir Singh, giovane antropologo indo-americano (sikh) che insegna all’Università della California a Davis con diplomi da Harvard e Brown University. Seguendo situazioni disparate e personaggi a volte improbabili, l’autore mette a fuoco le complessità e le vicissitudini di un fenomeno (anzi: religione) senza tempo, sempre attuale e onnipresente, offrendo esempi concreti basati su anni di studi antropologici nonché su esperienze sul campo tra le comunità Mentawai dell’isola di Siberut (Indonesia) poi in India, nelle montagne andine e infine nell’Amazzonia colombiana tra rituali con ayahuasca e altre piante maestre.
Senza tralasciare, fra l’altro, una visita alla grotta di Trois-Frères nella Francia sud-occidentale, per toccarne con mano le pitture rupestri risalenti al tardo periodo magdaleniano (19.000-14.000 anni fa), il cui esempio più noto sono le vicine Grotte di Lascaux. Mentre certi studi neurologici del movimento geometrico delle forme li farebbero derivare da stati alterati di coscienza, di fatto l’arte rupestre ha sempre rappresentato un punto interrogativo nello studio della paleontologia umana. E proponendo incursioni nello neo-sciamanesimo occidentale contemporaneo, sulla scia degli insegnamenti di Michael Harner e sperimentato in aggregazioni auto-gestite tipo il festival iper-creativo Burning Man.
Tutto ciò per dire che quest’insieme di feste dionisiache, danze ossessionate, percussioni infinite, rituali di magia (anche nera) e stregoneria, stati on ordinari di coscienza, canti, visioni e molto altro non vanno intesi come oggetto di “superstizione primitiva” quanto piuttosto come veicoli di trasformazione spirituale per acquisire e condividere la capacità di guarire, divinare e superare le incertezze e le calamità della vita, ieri come oggi. Un coacervo spiritual-animistico che, affermatosi variamente a seconda dei diversi enclave, è stato man mano cooptato e anzi sottomesso dall’emergere delle religioni organizzate, come nel caso dei conquistadores e la successiva imposizione del Cattolicesimo nel continente americano a partire dal XVI secolo. Ma che, appunto, continua a riemerge in modalità e contesti i più disparati, come il Pentecostalismo in Italia, a cui il libro dedica alcune pagine: includendo elementi di tipo sciamanico e di religiosità afro-americana, la congregazione vide una rapida crescita grazie all’influsso degli italo-americani e nel 1929 contava circa 150 centri, per lo più in aree rurali del meridione e della Sicilia, ma fu presto soggetto alla criminalizzazione della Chiesa cattolica e del regime fascista, per essere messo fuorilegge nel 1935 tramite apposito decreto firmato da Mussolini, a causa delle presunte somiglianze con il comunismo e una “natura ossessiva e nevrotica”. Costretto a operare underground sotto l’etichetta generica di Protestanti ed Evangelici, il Pentecostalismo venne ufficializzato solo nel 1955 con l’annullamento di tale decreto e il riconoscimento della libertà di religione nel Paese.
Dopo aver sostenuto che la biomedicina contemporanea possa avere parecchio da imparare da questi rituali e che l’approccio scientifico è sempre benvenuto per carpirne la portata, l’ultimo capitolo affronta il recente revival della psichedelia: l’eccessivo entusiasmo sembra aver gonfiato anche la storia stessa di sostanze e piante psicotrope qui coinvolte, con effetti-boomerang tutt’altro che modesti. Secondo le ricerche condotte da studiosi quali Peter Gow (1994), Brabec de Mori (2001) e Martin Fortier (2018), l’uso di tali sostanze tra gli indigeni non era né ancestrale né comune, come oggi invece si tende a credere:
l’ayahuasca si è diffusa nell’Amazzonia peruviana al più negli ultimi 300 anni…in epoca precolombiana solo il 5% degli indigeni americani faceva uso di psichedelici…. l’1% o meno delle culture mondiali consumava psichedelici in quel periodo.
Lo stesso dicasi per i funghi psilocibinici, come rivelano alcuni passaggi dell’ottimo testo di Andy Letcher (Shroom: Cultural-History of Magic Mushroom, 2006) e un’analisi comparativa curata dallo stesso Manvir Singh sulle menzioni di sostanze psicoattive nella mitologia nel database eHRAF World Cultures. Da cui risulta che appena 22 paragrafi, su oltre 51.000 relativi a 325 gruppi culturali diversi, includono il termine “mushroom(s)”. E perfino l’immagine del “mushroom shaman” divenuto un’icona della comunità psichedelica occidentale e reso popolare da Terence McKenna nelle pagine di Food of the Gods (1992), non è altro che il rifacimento fantasioso e infarcito di funghetti ideato dall’allora sua moglie, Kat Harrison, in base di una fotografia sbiadita trovata in un volume locale.
Peccato che, pur segnalando simili criticità, le pagine successive non procedano ad affrontare le annesse problematiche del cosidetto “turismo sciamanico” (o psichedelico o dell’ayahuasca che dir si voglia), dai casi di truffe economiche agli abusi psicologici o sessuali fino ai rischi e pericoli legati all’assunzione indiscriminata di sostanze o pozioni locali dagli effetti imprevedibili. E se la massificazione in corso potrebbe metterne in pericolo o annacquarne il futuro, è bene evitare di fare confusione fra sciamanesimo, terapia ed esperienza psichedelica. E minimi gli accenni anche agli sciamani finti o con pochi scrupoli, per non parlare del rampante business legato al variegato ambito della New Age, con le relative appropriazioni di vario tipo. Nell’un caso e nell’altro, forzare la mano per imporre una patina romantica e allettante su simili fenomeni (ormai divenuti “pop”) crea dannosi effetti-boomerang e inutili rischi.
Vero comunque che lo sciamanesimo, pur rimanendo un fenomeno pressoché universale, continui a ri-elaborarsi e ad esprimersi in maniera diversificata – ed è qui che sta il senso ultimo di quest’opera comunque intrigante e ricca di “food for thought”. Puntando a illustrare, con un approccio a tutto tondo, le sfaccettature e le complessità di questa trasformazione spirituale degli officianti, in modo da essere “posseduti” per poter curare, divinare e superare le incertezze della vita – ieri, oggi e soprattutto domani: almeno così si spera.